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La tradizione della festa dei Morti nei testi della Iemmolo e del Pitrè - East Sicily

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Il 2 Novembre si celebra la commemorazione dei defunti. Per i siciliani, ma soprattutto per i bimbi, è un giorno di festa. Perché? Ce lo spiega la storia.

Il 2 Novembre in Sicilia
La Festa dei morti in Sicilia è l’occasione per commemorare i propri cari e insegnare ai bambini a non aver paura della morte. La tradizione siciliana vuole che, nel giorno a loro dedicato, i defunti venivano a trovare i bambini per portare dolci e regalini. Cioè avveniva nella notte tra il primo ed il due novembre. Scrive Giuseppe Pitrè:
“E’ già sera aspettata, e i bambini, i fanciulli non hanno requie; pure vanno a letto ben presto speranzosi. Le mammine fanno recitar loro orazioni, preghiere od altre “cose di Dio”, e non vi mancano i paternostri tanto efficaci perchè i morti non facciano orecchie da mercante. La preghiera fanciullesca è questa:

Armi santi, armi santi,
Io sugnu unu e vuatri siti tanti:
Mentri sugnu ‘ntra stu munnu di guai
Cosi di morti mittitimìnni assai“.

Sul tardi i genitori preparavano “u cannistru” (le ceste) con i dolci tipici e nascondevano i giocattoli nei punti più reconditi dell’abitazione.

“Tra gli abiti non suol mancare – si legge in “Feste popolari siciliane” del Pitrè– quasi mai un paio di stivaletti o di scarpe, anzi nell’Etna i bambini la sera del 1° novembre sogliono preparare in un angolo della casa un paio di ciabatte (‘pparano li scarpi), acciò i morti nella prossima notte vi ripongano dentro qualche cosa. Le ciabatte spariscono, sostituite dalle scarpe nuove o da scarpine di zucchero; ma v’ha chi le trova ripiene di cenere o di qualche cosa non bella“.

La mattina del 2 novembre, i bambini s’alzavano già pronti per iniziare la caccia al tesoro in giro per la casa, dopo avere recitato la suddetta supplica.
In “Cosi ri casa nostra“, Ignazia Iemmolo Portelli spiega:
“Il 2 Novembre, giorno dei Morti, era una festività cara ai bambini perché era l’unica occasione dell’anno in cui tradizionalmente ricevevano dei regali. Chi credeva veramente che fossero gli avi morti a portare i regali, lasciava, la sera precedente, le scarpe nto jattaluoru*. Veniva escluso dai regali chi non ci credeva, che equivaleva a dire che era fuori dalla dimensione onirica“.

L’origine e il significato di quest’usanza portano molto indietro nel tempo: si collega certamente a culti greco-romani ed al banchetto funebre un tempo comune a tutti i popoli del bacino del Mediterraneo. In passato, i bimbi festosi, sereni e sorridenti, in questa giornata si recavano al camposanto, non di rado giocavano tra le tombe per testimoniare che il regalo era stato ricevuto e apprezzato, addentando i tanto in tanto, adulti e piccini, pezzi di Pupi di Zucchero, crozza ri morti (ossa di morto – biscotti croccanti bianchi e neri ) e Frutta Martorana.
“Il ragazzo che apparteneva ad una famiglia ricca – conclude la Iemmolo Portelli, studiosa di tradizioni popolari rosolinesi-, trovava in genere dolciumi e regali; gli altri, i bambini del popolo, erano felici di trovare marmellata di mele cotogne, mustata*, frutta essiccata o secca (fichi secchi, uva passa, noci…), frutta di stagione (melagrane, castagne, mirto). Quando poi andava benissimo, trovavano la cartella per la scuola, che aveva una vita breve in quanto era di cartone e spesso, tirata per gioco, finiva in qualcuna delle numerose pozzanghere delle strade, disfacendosi“.

Alessandra Brafa

Ti potrebbe interessare “Riti e rituali: Ognissanti e la Festa dei Morti”
Guarda il video: 
https://www.youtube.com/watch?v=9UTmxKYDTa0&feature=youtu.be

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