Se a Carnevale le usanze a tavola si tramandano con successo, vi sono tradizioni che si stanno perdendo, in primis quella di raccontare “luminagghi“.
Il Carnevale è una festa molto attesa in Sicilia: da Acireale a Sciacca, passando per Avola e Palazzolo fino ai centri minori, ovunque gli spettacoli si consumano per le piazze in cui si gustano ricette della tradizione contadina, retaggio e migliore espressione del folklore locale.
Dalle parate ai carri all’intrattenimento e ai banchetti, ogni celebrazione è unica nel suo genere e si trasforma in un sano momento di festa per l’intera comunità. Ma legate al Carnevale, nella tradizione popolare, non erano solo piatti e costumi. A farla da padrone, un tempo, anche gli indovinelli recitati in dialetto: ricchi di doppi sensi, la soluzione era sempre più ingenua di ciò che davano a immaginare.
Come ricorda la studiosa Ignazia Iemmolo Portelli in “Cosi ri casa nostra- Il mondo rosolinese nei canti e nei detti popolari“: “In questo periodo, di sera, dopo il Rosario, tutti i membri della famiglia si cimentavano nel proporre indovinelli (luminagghi), che spesso erano dei veri e propri rompicapo e per la cui soluzione si scervellavano tutti”.
“Tutti ‘i piaciri vi fazzu passati,
ma ‘a notti ccu mia nun vi ci fazzu curcari“
(Tutti i piaceri ti faccio passare, ma la notte con me non ti faccio coricare).
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“A tiempu ri nicissità,
ccià ‘nfilassitu a ta mà“
(In un tempo di necessità, lo infilereste a tua madre)
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“Pilu ccu ppilu s’ancùcciunu ‘a notti“
(Pelo con pelo si uniscono di notte)
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“A ronna, ca è dhi sutta, canta e sciala,
l’uomminu, ca è ri supra, si cunsuma“
(La donna, che sta sotto, canta e gode; l’uomo, che è di sopra, si consuma)
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“Spara e carcagna e cogghi o nasu”
(Spara ai calcagni e coglie il naso)